L’iconografia della Redenzione nelle opere di Antonello da Messina
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di Antonella Agata Di Gregorio
Nel corso dei secoli, l’iconografia della Redenzione e della passione di Gesù Cristo, ed in particolare della Crocifissione e della Deposizione, è molto cara agli artisti, che, di volta in volta con le loro riletture, hanno conferito alla rappresentazione, di questo evento cardine della salvezza dell’intera umanità, delle emozioni capaci di far rivivere la scena ad un comune osservatore.
Attraverso la rappresentazione artistica la sensibilità dell’artista-artefice diventa propria dell’osservatore. Naturalmente la circolazione di artisti e opere d’arte ha permesso l’influsso di determinate iconografie in paesi spesso lontani.
Per quanto riguarda i temi iconografici strettamente correlati alla figura di Gesù Cristo, sicuramente la rappresentazione a mezzo busto è davvero molto diffusa. Questa rappresentazione è di derivazione nordica ed è giunta in Italia, molto probabilmente dai Paesi Bassi, in una duplicità di significato, cioè attraverso due diverse rappresentazioni ideologiche: il Christus Triumphans, che sconfigge la morte resuscitando e sconfigge in tal modo il peccato; il Christus Patiens, che patisce le sofferenze della flagellazione e della croce.
Questo tema, diffusosi nella prima metà del XV secolo, era strettamente collegato ad un profondo sentire di tipo emotivo dei fedeli, che rileggevano i grandi avvenimenti della storia della salvezza ed i temi della fede in maniera strettamente soggettiva, dando vita ad una religiosità dal nuovo volto.
Queste rappresentazioni, filtrate in ambiente italiano, sono state rilette in modo esemplare e suggestivo da uno dei più grandi pittori italiani di tutti i tempi, che ha fatto della sua grande abilità artistica il sapiente strumento per restituire sul supporto pittorico non delle semplici rappresentazioni, ma dei soggetti viventi, Antonello da Messina (Messina 1430? – Messina 1479).
Antonello, nei suoi Ecce Homo e con il Salvator Mundi, riprende il tema iconografico del Cristo a mezzo busto di derivazione nordica, inserendo il soggetto dietro un parapetto e investendo queste rappresentazioni di un’originale ed inaspettata aura di umanità.
Se ci soffermiamo ad osservare attentamente la Pietà (olio su tavola – Madrid, Museo Nacional del Prado), l’Ecce Homo (olio su tavola – Piacenza, Collegio Alberoni) ed il Cristo alla colonna (olio su tavola – Parigi, Musée du Louvre) ci rendiamo conto di trovarci di fronte alla rappresentazione del dolore umano, in tutta la sua autentica veridicità: Cristo nella sua umanità soffre atroci sofferenze per redimere, attraverso il suo sacrificio, l’intera umanità. Antonello riesce a rendere queste sofferenze nella loro ‘naturalezza’: non ci troviamo di fronte a rappresentazioni pittoriche, bensì di fronte ad un uomo vero che soffre.
Questa capacità di riportare sulla tela pittorica la vita umana nella sua pienezza, nelle sue più sottili sfumature (con i suoi gesti, le sue espressioni, persino i caratteri appena percettibili allo sguardo umano) si riscontra anche nel Cristo benedicente (olio su tavola – Londra, National Gallery): l’attenzione dell’osservatore viene focalizzata nel ‘pacato’ ed allo stesso tempo solenne gesto del Cristo: il Salvator Mundi vincendo la morte e risorgendo ha redento l’umanità. Il volto ieratico di Cristo non è segnato da un’aura di divinità, che lo rende ‘distante’ dagli uomini, bensì esprime tutta la sua piena umanità.
Attraverso queste opere Antonello è riuscito a consegnare parte della vera realtà del sacrificio di Cristo agli osservatori, mettendo l’arte al servizio della fede.
E proprio questa capacità dell’artista di conferire piena umanità ai suoi soggetti è stata espressa da Di Marzo nel 1862: “Sovrano pregio di lui è teneramente commuovere, sia che nei vari soggetti che rappresenta prevalga la severità alla dolcezza, il magnifico al patetico, il dolore alla soavità, ovvero che per tranquillità degli affetti quasi tacitamente si annunzino i più intimi e dolci seni dell’anima”.