FIGURES. CALUSCA IN CAMEMI’S CONTEMPORARY ART COLLECTION
di Giuseppe Bella
Credo che non molti artisti manifestino una così accanita attenzione alla figura come fa Calusca con le immagini umane colte nel loro istante di grazia fenomenica ma pronte già a dissolversi nelle nebbie d’oltremondo o a incendiarsi nelle braci della carne. Non di rado quelle immagini di uomini e di donne sono francamente spettrali: o sono corpi che nel loro conato d’esistenza non riescono del tutto a concretizzarsi; o, all’opposto, sono corpi che, estenuati dal vivere, si scompongono nella trasparenza dei fantasmi.
Si ritrovano, infatti, molteplici ritratti di persone (innominate, se non definite da ironiche perifrasi in lingua inglese) il cui statuto d’esistenza si colloca nell’interstizio tra due dimensioni separate da un impercettibile discrimine, le quali nella realtà mai si sfiorano ma che qui, in grazia di una visione sincretica (la visione sciamanica dell’artista), si accostano l’una all’altra fino a confondersi, sì che nebbia e carne vengono a comporre un’unica massa, costituita di materia e di ciò che la trascende, e in questo contrasto essi non si elidono a vicenda, ma formano una sola entità, nello stesso tempo bramosa di vita e indefinita e vaporosa fin quasi a svanire nell’aria come un labile miraggio. Le figure si mostrano come verniciate di pallida miseria, a volte in un biancore vischioso, altre volte trasparenti come vetro; sono creature, è vero, dispongono di un volto nel cui sguardo la vita è come un attonito punto di domanda, uno smarrimento, un’incredula oscillazione dell’equilibrio; ma è anche vero che nessun sangue irrora ciò che sembra la loro carne. Non hanno nemmeno il privilegio del dolore – ciò che può sembrare un paradosso. Ma il dolore si incarica di esprimere pur sempre una vibrazione o uno spasmo della vita. E loro, appunto, difettano di visceri e sangue. Nei momenti estremi la figura è un’unica sbavatura bianca con rari addensamenti di forma che alludono alla carne senza averne la rosea consistenza.
Sia chiaro, però, che l’arte di Calusca non è solo questo percorso nei deserti abitati dai fantasmi dei viventi; c’è dell’altro, molto altro, nel suo atelier pittorico. Ciò di cui dà conto un elegantissimo catalogo composto in occasione della mostra “Figures” allestita nel Castello di Camemi, a Vizzini.
La qualità di questo catalogo è apprezzabile in ogni suo parte materiale. Ottima grafica, ottima carta, ottimi caratteri di stampa, ottima impaginazione di copertina: con il particolare di un ritratto a figura intera, dai colori accesi, verde rosso e scuro in esultante incontro (il tratto tipico di Calusca, l’elemento perturbante, nella visione completa dell’opera, è dato dall’ombra della figura, che è ribaltata rispetto a come dovrebbe essere e che sembra staccarsi dal corpo quale entità autonoma). Il pregio perspicuo del volume, per chi voglia accostarsi all’arte complessa e stratificata di Calusca, è costituito non solo dalla pregiata scelta delle opere che vi si illustrano, ma specialmente dal vasto e competente saggio prefatorio di Rocco Giudice. Esso è misto di penetranti osservazioni tecniche e di mirabili accensioni di scrittura critica, senza il corredo di quella gergalità specialistica che per lo più rinsecchisce la prosa e allontana la simpatia del lettore. Non intendo qui ripercorrere le stazioni di questo eccellente percorso critico; basti citare: «[…] il ritratto non è un genere pittorico, per Calusca, ma l’essenza, si vorrebbe dire, la natura stessa dell’arte. La figurazione è la condizione naturale della pittura; che non esclude né contraddice esiti informali: ma, appunto, esiti, sortite che passano […]». Ecco, il ritratto come pròton della pittura. Incontestabile, certo. Anche perché, per mezzo del ritratto, l’azione magica dei ritrattisti primordiali propiziava la cattura delle prede; cioè un gesto grafico era il presupposto dell’azione venatoria. Generalmente, i ritratti di Calusca non sembrano avere come scopo principale quello di rivelare o rimarcare certi caratteri morali dei modelli, sebbene la rassomiglianza e la riconoscibilità siano rispettate in chiave realistica, persino con acribia; si vuole, insomma, dire che i personaggi non sono indagati (come nella ritrattistica tradizionale) nei loro lineamenti, nelle espressioni e nelle positure peculiari, così che ne emerga una specifica psicologia o una attitudine esistenziale; ma ogni volto rivela i segni di un infero infuocato, quando non si tratti di un abissale stupore.
Si segnala, infine, che la bella monografia di Calusca, edita da Newl’ink (primo numero della nuova collana “L’Album”), sarà nuovamente presentata il prossimo 9 settembre presso la libreria Neapolis di Ortigia (SR), con interventi dell’artista, di Annalisa Sansalone, di Ornella Fazzina (critico d’arte) e Michele Romano (storico dell’arte).