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Il “Giorno della Memoria” 2021 ad Acireale

Il “Giorno della Memoria”: raccontare e ricordare per il futuro

di Antonella Agata Di Gregorio

Indietro, tra le pagine di una storia passata. Il 27 gennaio 1945, poco dopo mezzogiorno, l’armata rossa oltrepassava il cancello con il filo spinato, recante la scritta “Arbeit Macht Frei” (“Il lavoro rende liberi”), e svelava al mondo l’atroce realtà, celata dietro un apparente campo di lavoro: il complesso di Auschwitz – Birkenau – Monowitz appariva come la punta di diamante del più spietato congegno di morte del genocidio nazista. Anche se i tedeschi, con i russi ormai vicini, avevano con alacrità distrutto quanto più potevano, appiccando il fuoco a registri e magazzini, le testimonianze tangibili erano innumerevoli: numerosissimi cadaveri; quasi settemila superstiti, secondo le affermazioni del generale Petrenko, tra cui molti bambini che mostravano il numero impresso nel loro braccio. Testimonianze che ancora oggi trovano luogo nelle baracche in muratura del campo di sterminio, oggetti che raccontano di milioni di innocenti, colpevoli soltanto di esistere: scarpe, indumenti, valigie, occhiali, capelli. E se la memoria ha bisogno di un radicamento concreto, di un gesto, di un luogo, di un oggetto, queste testimonianze servono già in parte a rivelare ciò che atrocemente è stato.

il triangolo rosso, nei campi di concentramento, serviva a distinguere i prigionieri politici, tra cui i massoni, dagli altri prigionieri.

il triangolo rosso, nei campi di concentramento, serviva a distinguere i prigionieri politici, tra cui i massoni, dagli altri prigionieri.

Raccontare questo indissolubile rapporto con il vissuto, testimonianza assolutamente scevra da ogni tipo di strumentalizzazione del passato, è per i superstiti una necessità ma allo stesso tempo una ‘condanna’. Trasmettere quell’esperienza di morte, quella mera negazione della persona umana significa anche rivivere continuamente quei giorni, quegli istanti in cui ogni speranza era sopita dietro un’asfittica coltre di cieca violenza. Contraddizione questa magistralmente espressa da Elie Wiesel: “Tacere è proibito, parlare è impossibile”. Il Lager ha minato la vita umana fin dai suoi fondamenti: ha imposto ai prigionieri una repentina e brutale deformazione di tutti quei valori che fino alla loro deportazione facevano parte del loro vissuto quotidiano.

Il totale e radicale annientamento della personalità umana ha sottoposto l’individuo ad una realtà del tutto estraniata, rispetto ai due cardini della sua esistenza, la vita e la morte. Ragion per cui le parole adoperate per descrivere e narrare queste esperienze non riescono a trasmettere fino in fondo quel vissuto, ma racchiudono al loro interno dei significati densi che si offrono alla società contemporanea, per acquisire una maggiore consapevolezza di ciò che potrebbe ripetersi.
A che cosa serve il Giorno della Memoria, istituito dalla Repubblica Italiana attraverso l’approvazione della legge n. 211 del 20 luglio 2000? Non è di certo uno di quelle sterili ed ipocrite occasioni formali, così ricche di retorica e di vani discorsi ad effetto. È il tentativo di rendere attuale e presente nel quotidiano collettivo dell’odierna società il folle tentativo messo in atto per eliminare un intero popolo, proprio in quella parte di mondo da sempre ritenuta più ‘civilizzata’, dunque egemone. Serve all’uomo che ha bisogno di continuare a sapere e ha la necessità di ricordarsi di ricordare, eliminando in tal modo il rischio di relegare questo indelebile segno di dolore, morte e distruzione in un freddo e polveroso scaffale tra i libri del passato.
Proprio per rendere attuale la Memoria di una tra le più dolorose pagine della storia contemporanea, il sindaco Stefano Alì ha deposto un omaggio floreale dinanzi al cippo commemorativo dedicato alle vittime della Shoah, alla presenza di Franco Perlasca e gli assessori Mario di Prima, Palmina Fraschilla e Daniele La Rosa. “Oggi ricordiamo le vittime della “Shoah” – ha affermato il sindaco – ma esistono tragedie che sono un po’ più indietro negli anni, come lo sterminio degli armeni in Turchia. E, però, sembra che da queste vicende non riusciamo a imparare a capire ciò che succede, anche per via dell’indifferenza, quella che si registrava in quegli anni e che, purtroppo, continua ad essere presente oggi, come si può notare da quanto accade in Bosnia, in Siria e in Turchia e dalle innumerevoli vittime legate alla migrazione. E, senza andare troppo lontano, anche ciò che si verifica in Italia con gli sbarchi, la cui gestione meriterebbe una riflessione più profonda e un’attenzione particolare da parte di tutti”.

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