Convenzione Compost ad Acireale: trappola per cittadini?
Il compostaggio domestico è una pratica virtuosa. Ad Acireale (CT) potrebbe diventare una trappola per il cittadino e un pericolo per l’intera Città: criteri di adesione assolutamente strampalati, divieto per chi aderisce di conferire l’umido, modulo di adesione contraddittorio che declina ogni responsabilità al cittadino. E, a dispetto dello sconto promesso, a guadagnarci sono solo le casse comunali. Vi spieghiamo punto per punto dove si nasconde l’insidia.
Esulta l’amministrazione e lo fa con la solita striminzita nota stampa: ad Acireale, 632 richieste di adesione al compostaggio domestico.
632 i cittadini che hanno volontariamente deciso di trasformarsi, a loro insaputa, in dipendenti comunali, e di subire supinamente un gravissimo carico di responsabilità a fronte di un grosso disagio nel conferimento dei propri rifiuti domestici che minaccia di avere ripercussioni in tutta la città.
Ancora una volta infatti una pratica giusta e virtuosa come quella del compostaggio domestico è stata organizzata e introdotta dall’amministrazione Barbagallo per cambiare la vita della comunità acese in peggio.
Molte sono infatti le criticità che già traspaiono dal modulo di adesione, dagli onori agli oneri previsti dalla partecipazione al servizio, fino ai criteri di accesso.
Oneri per il cittadino che aderisce al compostaggio
La macchina della propaganda comunale dichiara da mesi che il compostaggio è l’opportunità fornita al cittadino di ricevere una forte scontistica sulla Tari.
In cambio di tale scontistica il nucleo familiare aderente:
1 – non potrà più conferire l’umido (e già in questo divieto si nasconde la chiave di volta per capire che il vantaggio è più dell’amministrazione che del cittadino);
2 – sarà sottoposto a controlli periodici che potranno decidere di revocare l’adesione al servizio;
3 – sarà responsabile di una compostiera di vetroresina – materiale soggetto a usura – fornita dalla Tekra in comodato d’uso che se danneggiata dovrà risarcire e, nel caso di rinuncia al servizio, dovrà restituire (ripulendola quindi di ben 330 litri di rifiuti all’interno);
4 – avrà l’onere di partecipare a corsi ed eventi (e qui occorrerebbe chiedersi: organizzati a quale costo e perché sarà proprio quell’ente a beneficiare di tali corsi?), in cui imparerà sia a compostare in maniera efficiente sia a trasformarsi in evangelizzatore di buone pratiche di riciclo.
5 – dovrà utilizzare il compost per uso privato per concimare il proprio orto o in attività legate al giardinaggio.
Il cittadino, a fronte di tutti questi oneri, così come recita il modulo di adesione, otterrà la «riduzione in percentuale sulla tassa dei rifiuti, il cui importo viene deciso annualmente anche sulla base della stima del peso specifico sottratto al conferimento in impianto di recupero» ma – in realtà – è il comune a guadagnarci privando ben 632 cittadini della possibilità di conferire l’umido e risparmiando così fior di quattrini nel trasporto e conferimento di tonnellate di rifiuti agli Impianti per l’Umido.
Se infatti l’amministrazione è ben conscia della somma che risparmierà dal compostaggio domestico – tant’è che ha potuto in anticipo, senza dover stimare il peso specifico sottratto all’umido e senza ricorrere al Mago Giusa, stabilire la scontistica del 30-50% sulla Tari per gli aderenti – il cittadino, invece, non ha forse ben chiaro a quali pericoli va incontro.
Vietato conferire l’umido. Sicuro sia così semplice?
Privare gli aderenti al compostaggio del conferimento dell’umido è un atto irresponsabile che avvantaggia esclusivamente le casse comunali causando disagio sia agli aderenti, sia al vicinato di chi aderisce, sia all’intera Città.
Infatti, per fare bene compost domestico (quello di qualità definito “verde” perché derivato esclusivamente da scarti vegetali), e accellerare i tempi di trasformazione, occorre limitare la presenza nella compostiera degli scarti di origine animali e i cibi cotti, perché come dicono anche i blog specializzati «si decompongono molto lentamente e potrebbero attirare gli animali nel mucchio dell’organico».
A indicare di limitare i rifiuti animali – pollame, pescato, grasso, etc. – è lo stesso modulo di adesione al compostaggio domestico redatto dall’amministrazione comunale che dichiara esplicitamente di conferire nella compostiera «avanzi dei pasti giornalieri in piccole dimensioni e quantità».
Tale esplicito invito non è forse in antitesi con la reclusione del mastello dell’umido e con il divieto di conferimento per gli aderenti, i cui domicili saranno contrassegnati dalla targhetta?
Compostiere e responsabilità.
Le ben 632 famiglie acesi che hanno aderito al compostaggio, quindi, non hanno ben valutato che poderose mangiate di pesce a casa, con tanto di invitati, ad esempio sotto il sole di Agosto, potrebbero trasformare la compostiera in un potente esalatore di cattivi odori, che faranno saltare i nervi e metteranno a dura prova l’olfatto del vicinato, facendo fioccare migliaia di denunce.
Denunce per il quale il Comune ha declinato ogni responsabilità sia nel regolamento che nel modulo di adesione e che verrebbero imputate esclusivamente al referente del compostaggio domestico, designato dallo stesso nucleo familiare.
Infatti sono gli stessi aderenti al compostaggio domestico a essersi impegnati nel modulo di adesione a prevenire «i problemi derivanti da una cattiva gestione».
L’unica cosa che il Comune potrebbe fare, nel caso che le lamentele del vicinato fossero fondate, sarebbe apportare al danno la beffa: obbligare l’aderente a riconsegnare, dopo averla ben ripulita di ogni immondizia, la compostiera di 330 litri, e costringerlo, come recita l’articolo 12 della convenzione, a restituire la somma “ingiustamente” scontata, ovviamente «rivalutata dagli interessi di legge».
Criteri di adesione strampalati e regole di buon vicinato stravolte
Un pronostico neanche così fantasioso, quello delle denunce, visto che la stessa adesione al compostaggio è fatta con criteri assolutamente strampalati: per aderire, secondo l’amministrazione Barbagallo, alla convenzione del compostaggio domestico è necessario possedere almeno 40 mq di terreno «non pavimentato».
La questione del possesso di almeno 40 mq necessari per l’adesione non considera che per poter fare compostaggio in maniera efficiente, efficace, non dispendiosa a livello di impegno, e priva di cattivi odori di putrefazione, occorre che il luogo dove è posizionata la compostiera soddisfi alcuni criteri – quali umidità e poca esposizione al sole – così da divenire l’habitat ideale dei microrganismi adibiti a trasformare il compost in terriccio.
Il Comune – interessato ovviamente che il numero di coloro i quali non potranno più conferire l’umido sia il più alto possibile – evita di scoraggiare il cittadino e consiglia sbrigativamente nel modulo di posizionare la compostiera in un luogo poco assolato, possibilmente all’ombra di un albero, e « a una distanza ragionevole in modo da evitare eventuali molestie ai vicini dovute a malfunzionamenti».
Quale sia questa «distanza ragionevole dai confini dei vicini» (e come è possibile soddisfare in soli 40 mq tutti questi criteri) non viene stabilito, probabilmente per non scoraggiare i cittadini dall’adesione, ne è dato sapere se nel posizionare la compostiera occorre seguire le stesse regole di buon vicinato che regolano la presenza degli alberi sui confini delle proprietà.
Sebbene però questi criteri restino indefiniti, il comune è molto preciso – come visto più sopra – ad additare le responsabilità agli aderenti che, ricordiamolo, al momento dell’adesione non hanno frequentato alcun corso e possono peccare d’ingenuità e ignoranza sull’argomento, attirati – così come propaganda comunale vuole – dai vantaggi illusori della scontistica.
Compostiera in comodato d’uso. Sicuro che conviene?
Inoltre, i cittadini ignorano che – se la compostiera non fosse stata di proprietà del Comune che obbliga esplicitamente gli aderenti a utilizzare il terriccio prodotto esclusivamente per uso privato nel proprio orto o giardino – avrebbero potuto ottenere altri ricavi con la vendità del terriccio, così come già succede in altre parti d’Italia dove, oltretutto, non è stato proibito il divieto di conferire l’umido.
Ad Acireale le pratiche virtuose diventano un disservizio
Non era già bastata la scriteriata introduzione della raccolta differenziata, iniziata senza effettuare il censimento preventivo dei morosi e senza che a tutt’oggi esista un CCR? Raccolta differenziata che ha travolto Acireale di spazzatura e ha costretto l’amministrazione a correre ai ripari, riempiendo la cittadina di impianti di videosorveglianza, neanche fosse il set di un reality show, di cui i cittadini ancora ignorano il costo. E che dire delle domeniche ecologiche create come palliativo al disservizio comunale e che ora invece vengono propagandate come divertenti gite a uso e consumo degli acesi?
Il vento del cambiamento, soffiato dall’onorevole D’agostino e dall’amministrazione Barbagallo, minaccia, ancora una volta, di far più danni della tromba d’aria che investì anni fa Acireale. E adesso pare voglia dotare l’intera Città di un’inconfondibile marchio di fabbrica: quello dell’olezzo di carogna proveniente dalle compostiere acesi.