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Suicidio di un Paese!

Suicidio di un Pese! di Filippo Minacapilli –  L’Italia sta perseguendo con inaudita pervicacia la via del suicidio, lento e inesorabile.
L’incapacità politica, che si registra da decenni, nel trovare soluzione ai problemi economici funzionali alla crescita e allo sviluppo, sta creando un esercito di disoccupati, d’inoccupati, di senza lavoro.

Tra questi la stragrande maggioranza è formata da giovani che, pur avendo investito lunghi anni negli studi e nella formazione, si ritrova a interrogarsi sul proprio futuro senza trovare risposta.

Non trova risposta qui,  nel nostro Paese, e trova una via di fuga verso altri dell’area europea dove sicuramente governi più illuminati e più lungimiranti hanno saputo investire in idee innovative funzionali alla produzione di ricchezza, in politiche fiscali ed economiche fatte di non solo tasse ma, soprattutto, di interventi che hanno privilegiato e privilegiano la qualità dell’istruzione, i vantaggi fiscali e di servizi per le imprese, un costo del lavoro in linea con il processo di crescita complessiva.

Paesi in cui la flessibilità non costituisce un termine di cui avere paura per la precarietà alla quale inevitabilmente viene associata in Italia, ma uno strumento di rinnovamento e di incentivo anche psicologico al lavoro che mette la centro delle scelte l’uomo e i suoi bisogni non solo materiali.
Qui, in Italia, assistiamo, invece, al depauperamento della scuola pubblica cui si accompagna la politica scellerata di aiuti alle scuole non pubbliche, all’impoverimento dell’offerta formativa con conseguenziale taglio feroce degli organici degli insegnanti nell’ottica del risparmio di risorse economiche e finanziarie.

Suicidio di un Pese!

E’ come eliminare alimenti ai figli per risparmiare denaro! La conseguenza è sotto gli occhi di tutti, una generazione con conoscenze meno robuste, parzializzate, meno rispondenti alle esigenze della società e alle aspettative del mondo del lavoro, dove si richiede una maggiore e più articolata padronanza dei saperi fondamentali e un’apertura creativa verso i nuovi saperi.

Di contro i nostri governanti pensano bene a far calcoli ragionieristici che producono tagli, aumenti di tasse non sostenibili, cancellazione indiscriminata del welfare state. Il tutto a favore di una dispersione di fiumi di denaro che impinguano i costi della politica, che ingrassano enti inutili, che arricchiscono amministratori di aziende fallimentari. A voler fare un conto semplicistico, con un solo stipendio di un soggetto al vertice di aziende quali la Rai, o di enti quali l’Inps potrebbero vivere dignitosamente mille giovani! Il malgoverno, sulla scia dei malgoverni che l’hanno preceduto, incentiva l’esodo senza fine dei giovani, in particolare dei giovani che hanno acquisito una formazione superiore, universitaria, specialistica.

Tra qualche anno questo nostro “Bel Paese” non sarà più neanche un paese per vecchi, perché anche questi, indignati dallo sfascio morale, culturale, economico  provocato da politici insipienti e privi di un minimo senso dello Stato, prenderanno altre rotte per dimenticare quantomeno le umiliazioni cui sono sottoposti i propri figli.

Non è ammissibile che commessi, barbieri, faccendieri, portaborse, stallieri, traffichini, pseudodirigenti, figli di Ministri, di politicanti di periferia, vengano pagati centinaia di migliaia di Euro mentre laureati pur con dottorato di ricerca, con specializzazioni di qualità, con un carnet di idoneità a seguito di concorsi, devono accontentarsi, quando trovano occupazione, di stipendi miseri e sotto l’insegna della precarietà che li sottopone a umiliazioni continue, a ricatti impliciti, a insicurezza lacerante.

Giovani che scoprono che la parola speranza è un termine d’altri tempi non più riscontrabile nei dizionari in uso. Situazione drammatica, che induce tanti a farla finita. Giovani e disoccupati che si sentono svuotati nella dignità, perdono il senso dell’identità,  vengono risucchiati dal vortice dell’anomia e dell’anonimia, della inutilità dell’esistenza, della paura di guardare gli altri negli occhi perché si sentono miseramente nudi, spogliati da qualsiasi tratto connotativo dell’uomo sociale. La scelta che si apre è spesso quella di “togliere il disturbo”. Oppure partire e dover abbandonare non la propria terra in quanto tale ma in quanto terra di affetti, di sentimenti, di memoria, di relazioni, di appartenenza.

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Ecco il suicidio a tappe cui è vocato il Paese. Inesorabile, se non si fa ricorso immediatamente ad una politica rivoluzionaria che consenta di rinnovare la classe dirigente, di moralizzare costumi e comportamenti, di incentivare formazione e cultura, di favorire una seria politica industriale, che elimini sprechi e risorse per destinare ogni sforzo verso, soprattutto, le nuove generazioni che costituiscono il futuro vero e insostituibile di ogni paese.

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