A proposito dei Siti archeologici e non solo
di Filippo Minacapilli – Ecco perché l’Italia è in serie “B” e rischia di andare in “C”.
Misurare la valenza di un’opera d’arte, di un sito culturale e archeologico, di un Museo col metro solo economico è aberrante.
Sono stati prodotti documenti comparativi sugli incassi dei vari siti, non – tuttavia – quelli sui finanziamenti degli stessi e dello sperpero di denaro pubblico per sistemare parenti e compari.
Tra tutti, “Pompei incassa più dei siti archeologici presenti in tutta la Sicilia”.
Se così è, dove finiscono i soldi incassati se Pompei, un giorno sì e l’altro quasi, crolla e cede sotto l’incuria di funzionari e dirigenti strapagati?
Posti come esempi, quanti interventi dello Stato sono stati deliberati a favore di Pompei, quali i finanziamenti per il sito di Morgantina e per il Museo Archeologico di Aidone? Quest’ultimo, addirittura, definito – in modo così sminuente- “piccolo Museo”, così come altri siti di notevole bellezza e importanza.
E’ singolare che il Paese, primo nel mondo per beni culturali, tratti la materia in modo così “meschino”, senza tener in alcuna considerazione il valore intrinseco di tali beni – sia sul piano artistico, sia su quello culturale e sociale – correlati al territorio cui i beni “appartengono” e di cui sono espressione storica incontestabile.
Molti, tra giornalisti prezzolati, sedicenti esperti, critici d’arte in cerca di notorietà, politici dell’ultima ora, opinionisti al servizio, fanno a gara per legittimare l’idea che opere quali La Venere di Morgantina, I Bronzi di Riace, Il Satiro danzante di Mazara del Vallo, andrebbero collocati in Musei più grandi o metropolitani. “
Poveretti” che, pur facendone una questione di incassi e di biglietti venduti, non si rendono conto che una tale operazione, a voler rimanere sul piano squisitamente materiale, creerebbe, da un lato, povertà dei luoghi dove attualmente questi beni trovano la dovuta collocazione e, dall’altro, non produrrebbe complessivamente nuova ricchezza.
Non colgono, tali soloni del sottobosco ruffiano-politico, che “saccheggiare” un territorio dei suoi beni sarebbe come “negarlo”, in quanto verrebbero meno i tratti distintivi della sua identità storica e, cosa ancora più grave, lo priverebbe della sua anima culturale. Un assassinio umanitario!
L’arte necessita, al contrario, una dislocazione capillare nel territorio per far si che ovunque si possa “assaporare” e “gustare” un frammento di Bellezza, un dettaglio delle generazioni che ci hanno preceduto, un angolo esclusivo di studio e di conoscenza, un codice-espressione di una ben determinata epoca e di una specifica comunità.
Un trasloco sarebbe osceno, indecente, inaccettabile.
Si pensi, piuttosto, a razionalizzare i costi della pletora di dirigenti, non di rado poco efficienti e corresponsabili dei danni che si sono prodotti, vedi Pompei; a utilizzare al meglio il personale, in molte realtà in esubero; ad agire una politica seria di valorizzazione delle opere d’arte e dei siti culturali, a incrementare un’autentica promozione turistica degna di tal nome e non fatta di interventi ragionieristici sui prezzi dei biglietti d’ingresso che scoraggiano il visitatore.
L’Arte è un valore! Quantificarla in moneta è deprezzarla. L’Arte crea valore se si sa come magnificarla.